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La prima particella “piovuta dal cielo” è stato il positrone, primo esempio di antimateria.
Oltre all’antielettrone, dai raggi cosmici è arrivato il “fratello maggiore” dell’elettrone: il
muone osservato per la prima volta da S. Neddermayer e Andersson nel 1937.
La costruzione dei grandi acceleratori ha incrementato, infine, a tal punto il numero delle
particelle subnucleari che, allo stato attuale, i costituenti primari della materia sono così
numerosi e con evidenti tracce di struttura interna che non possono più essere conside-
rati sotto un aspetto elementare.
Con gli acceleratori di particelle la possibilità teorica ipotizzata dalla relatività di creare
nuove particelle è diventata una realtà.
Dalla collisione ad altissima energia fra corpuscoli si possono ottenere, nel rispetto di al-
cune leggi di conservazione, altri corpuscoli.
Ora, per ogni tipo di particella vi è un corpuscolo identico per quanto riguarda la massa e
la vita media, ma opposto per quanto riguarda alcune proprietà come per esempio la
carica elettrica, che noi indichiamo con il nome di antiparticella.
L’accoppiamento simmetrico particella-antiparticella, introdotto inizialmente da un
punto di vista teorico da Dirac per collegare le due grandi teorie del Ventesimo secolo: la
relatività e la meccanica quantistica, è stato sistematicamente verificato in tutti gli espe-
rimenti ad alta energia.
Nel 1955, per merito di Segrè e O. Chamberlain (1920 – 2006), è stato scoperto l’antipro-
tone e l’anno successivo l’antineutrone.
Tranne alcune particelle (il fotone, il pione neutro, ecc.), la cui antiparticella corrisponde
alla particella, tutte le altre sono distinte dalle corrispondenti antiparticelle.
Negli anni Trenta, per spiegare come i protoni potessero tranquillamente convivere uno
vicino all’altro nel limitato volume nucleare, malgrado la repulsione elettrostatica dovuta
alla loro carica positiva, si pensò che dovesse esistere una forza capace, come una colla,
di tenere uniti i protoni: una forza ancora più intensa di quella di natura elettromagnetica
agente fra le particelle cariche, in modo da prevalere su quest’ultima.
Questa forza, oggi detta di interazione nucleare forte, si manifesta fra alcune particelle
chiamate adroni (dal greco adros, “forte”), come i protoni e i neutroni; il suo raggio
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d’azione è dell’ordine delle dimensioni nucleari, cioè di 10 m.
Una grande varietà di fenomeni, come il decadimento beta, la disintegrazione di molte
particelle instabili, l’interazione, estremamente poco probabile, dei neutrini con la mate-
ria, la cattura nucleare di alcune particelle, etc., può essere spiegata in termini di un’altra
forza fondamentale, quella di interazione nucleare debole.
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