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Giovanni Keplero (1571 - 1630), invece, non si chiese se il sistema co-

                                  pernicano potesse esser vero, ma cercò direttamente di scoprire per-
                                  ché dovesse esser vero.

                                  Keplero fu insieme l’ultimo degli astronomi puramente matematici

                                  che cercavano di definire i movimenti celesti con linee e curve, e il
                                  primo a ideare una meccanica celeste che non fosse una semplice
                                  ipostatizzazione della geometria.


           Nel libro Armonia del mondo (1619), Keplero enunciò la terza legge di Keplero: “i cubi dei
           diametri delle orbite sono proporzionali ai quadrati dei loro tempi di rivoluzione”.

           Verificò che i piani di tutte le orbite passavano per il Sole, ponendolo, quindi, come centro

           del sistema. Allora, considerando le velocità di un pianeta in punti diversi dell’orbita, sco-
           prì la sua seconda legge: “il raggio vettore che unisce il Sole con il pianeta spazza aree
           dell’orbita equivalenti in tempi uguali”.

           Keplero, come tutti i suoi predecessori, però aveva concepito le orbite come circolari, e

           cercando di definire questo cerchio, e in particolare di trovare un centro di moto uniforme
           al suo interno, trovò che la sua seconda legge, l’orbita circolare e i dati osservati erano

           reciprocamente inconciliabili. Dopo anni di vani calcoli egli si imbatté nella risposta, la
           cosiddetta prima legge: “Le orbite descritte dai pianeti intorno al Sole sono ellissi, di cui
           il Sole occupa uno dei fuochi”.

           Tutto questo lavoro Keplero lo espose nel 1609 nella sua Astronomia nuova (o fisica cele-

           ste).

           Keplero fu costantemente influen-
           zato dalla necessità di fornire ad

           ognuna delle sue ipotesi una plau-
           sibile spiegazione fisica.

           Alla  maniera  aristotelica,  imma-

           ginò che i pianeti venissero spinti
           da una forza irradiata dal Sole in
           rotazione e poiché questa decre-
           sceva  con  la  distanza,  i  pianeti

           esterni venivano spinti più lenta-
           mente.

           Per render conto delle loro orbite

           ellittiche  Keplero  postulò  una
           forza magnetica polarizzata tra il



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