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Il Principio di indeterminazione di Heisenberg
Secondo i principi della fisica classica, conoscendo i valori esatti della posizione x di un
elettrone, assieme alla sua quantità di moto p (massa x velocità), sarebbe possibile cono-
scerne la posizione esatta in qualunque istante di tempo, passato, presente e futuro.
Secondo il fisico e matematico francese Pierre Simon de La-
place (1749 – 1827), una ipotetica intelligenza sovrumana che
fosse in grado, anche solo per un istante di tempo, di cono-
scere la posizione e la quantità di moto di ogni singola parti-
cella dell’Universo, potrebbe calcolare, grazie alle leggi di
Newton, tutti gli accadimenti passati, presenti e futuri del co-
smo (demone di Laplace).
A complicare le cose, però ci ha pensato Werner Heisenberg (1901
– 1976), con il suo “principio di indeterminazione”, secondo il quale
esiste una relazione vincolante tra il grado di precisione ∆ col quale
si può conoscere la posizione di un oggetto quantistico e l’incertezza
∆ della conoscenza della sua quantità di moto.
Il motivo di tale indeterminazione, non è dovuto a motivi tecnici e
tantomeno dipende da imprecisioni delle misure.
Tra questi due valori, ∆ e ∆, sussiste una relazione di complementarità: diminuire il
valore di ∆ porta automaticamente ad un aumento del valore di ∆, e viceversa.
Gli effetti del principio di Heisenberg si combinano a quanto causato dal principio di esclu-
sione di Pauli.
Sappiamo che un sistema atomico con più elettroni, un elettrone più energetico, orbi-
tante in un livello esterno, non può irraggiare e quindi cadere in stati di minore energia
perché essi sono già occupati da altri elettroni, rendendo questo modello perfettamente
stabile, cosa che non accadeva per il modello classico.
Un oggetto quantistico o non ha una posizione precisa, o non possiede una quantità di
moto precisa, dovuto all’effetto Compton.
Questa caratteristica, si pensa, sia una proprietà della materia in sé. Infatti, effettuando
l’esperimento della doppia fenditura sugli elettroni, se vogliamo individuare la loro posi-
zione dobbiamo per forza utilizzare una radiazione elettromagnetica, e anche se usiamo
quella a più bassa frequenza, viene sì conservata la figura di interferenza, ma non è più
possibile sapere da quale delle due fenditure è passato ciascun elettrone.
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