Page 149 - La Storia delle Scienze
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Un altro aspetto molto strano della meccanica quantistica, ancora in fase di studio, è che
quando due particelle sono state vicine, queste, magicamente, rimangono in comunica-
zione per sempre, anche se in seguito si separano.
Per scoprire il perché di queste incredibili proprietà sarà necessario ricorrere al mondo
nascosto della meccanica quantistica, e per farlo, forse, dovremmo capire cos’è vera-
mente la “vita”, cosa ci differenzia dalle cose inanimate.
Tra i primi a cercare una risposta ci furono gli antichi greci, con Aristotele, Socrate e Pla-
tone, che arrivo alla soluzione del problema, introducendo il concetto di “anima”.
Per Aristotele e Socrate, però, le anime non sono tutte uguali, ma possiedono gradi di-
versi.
Quelle inferiori abitano le piante, permettendo loro di crescere e di nutrirsi.
Un gradino più in alto troviamo le anime degli animali, che donano ai loro ospiti sensazioni
e movimento, e ancora più su l’anima umana, portatrice della ragione e dell’intelletto.
Per gli antichi Cinesi, analogamente, gli esseri viventi erano animati da una forza vitale
incorporea, (“Qi”), che fluisce al suo interno, immortale.
Col passare dei secoli, il concetto di anima fu incorporato in tutte le maggiori religioni del
mondo, senza però, conoscere la sua vera natura e il suo collegamento con il corpo. Ma
se l’anima è immortale perché moriamo?
La risposta più comunemente usata è che la morte corrisponde alla dipartita dell’anima
dal corpo.
C’è addirittura qualcuno, nella fattispecie un medico americano di
nome Duncan MacDougall (1866 – 1920), che nel 1907 riuscì a tro-
varne il peso, pesando i suoi pazienti immediatamente prima e dopo
la morte, indicandolo nella misura di circa “21 grammi”.
Il perché l’anima dovesse lasciare il corpo alla fine dei nostri giorni
rimaneva comunque un mistero.
Per Aristotele, l’anima, era in grado di darci la forza o l’energia per muoverci e spostare
le cose, insomma era la causa del moto.
Questo concetto sull’origine del moto rimase predominante fino al Medioevo, quando
successe qualcosa di straordinario, ovvero gli scienziati (filosofi naturali) iniziarono a de-
scrivere teorie sul moto degli oggetti usando il linguaggio della matematica.
A concludere questi studi fu Galileo Galilei, che riuscì a racchiudere le “leggi del moto” in
semplici formule matematiche, e perfezionata da Isaac Newton nella sua “Meccanica
newtoniana”.
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