Page 119 - La Storia delle Scienze
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La Rivoluzione Relativistica
Verso la fine del XIX secolo la maggior parte degli studiosi era convinta che le leggi fonda-
mentali della fisica fossero state ormai scoperte: il Campo Elettromagnetico, la Teoria
della Luce, la Legge delle Proporzioni di Richter, le Leggi dei Gas di Charles, la Legge dei
Volumi di Combinazione, la Legge Zero della Termodinamica, il Concetto di Valenza, la
Legge di Azione di Massa, etc.
Le equazioni della meccanica newtoniana spiegavano con successo il moto degli oggetti
sulla Terra e nei cieli. Esse costituivano la base per lo studio dei fluidi e delle onde mec-
caniche e fornivano anche, attraverso la teoria cinetica della materia, una logica mecca-
nica ai fenomeni termici.
Nella seconda metà dell’800 lo scienziato scozzese Ja-
mes Clerk Maxwell ampliò l’ambito della fisica clas-
sica, comprendendo le forze elettriche e magnetiche,
grazie all’utilizzo di una matematica più complessa, ri-
spetto a quella utilizzata da Newton.
Le sue equazioni spiegavano con successo i fenomeni
elettrici e magnetici, proprio come quelle newtoniane
avevano fatto con il moto.
L’interpretazione teorica dei principali aspetti fisici
del mondo macroscopico era poi completata dalle
equazioni di Maxwell, che avevano riunito in un’unica
teoria i fenomeni elettrici e magnetici, e avevano consentito di riconoscere la natura elet-
tromagnetica della luce.
Anche se lontana dal senso comune, la relatività einsteiniana ci offre un modo nuovo di
guardare le cose che ci circondano.
Nel 1875, quando Max Planck, allora un normale studente tedesco di Kiel, stava deci-
dendo se dedicare la sua vita alla matematica o alla fisica, gli fu consigliato caldamente di
non scegliere la fisica perché in quel campo le scoperte importanti erano già state tutte
fatte.
Planck, fortunatamente, non diede ascolto a queste voci e si mise a studiare fisica teorica
e si gettò anima e corpo nel lavoro sull’entropia, ma quando, nel 1891 divulgò i risultati
delle proprie ricerche, apprese, con costernazione, che lo stesso lavoro era già stato fatto
da uno studioso americano ormai prossimo alla pensione: J. Willard Gibbs.
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